Foto di: ©Lorenza Daverio
“Dover fare le cose di nascosto/e guardare le foto segretamente/ è orribile Rudolf/ E’ una cosa tremenda/ Con la maggioranza che la pensa come noi/ la maggioranza che si nasconde è terribile/ e in più è assurdo/ la maggioranza che la pensa come noi ma può farlo solo di nascosto/ Anche quando dicono il contrario/ sono tutti nazisti/ te ne accorgi subito alla prima occhiata/ ma non lo confessano/ non conosco nessuno che la pensi diversamente da noi/ Tranne il dottore e un paio d’altri/ ma quelli non contano/ Ecco l’aspetto tremendo della cosa Rudolf/ non far vedere chi siamo/ noi non lo facciamo vedere/ invece di far vedere chi siamo farlo vedere apertamente”
Premio Eleonora Duse
Menzione d'Onore
Miglior Attrice Emergente
- Anno
- 2006
- Autore
- Thomas Bernhard
- Con
- Rudolf Höller, presidente del tribunale ed ex-ufficiale delle SS, Alessandro Genovesi/Michelangelo Dalisi
Sua sorella Clara, Elena Russo Arman/Irene Valota
Sua sorella Vera, Federica Fracassi
Il testimone Olga, Francesca Garolla
Un testimone, il pubblico - Regia
- Renzo Martinelli
- Traduzione
- Roberto Menin
- Suono
- Giuseppe Ielasi
- Scene
- Renzo Martinelli
- Ringraziamenti
- Teatro i, con il patrocinio di Comune di Milano – Assessorato Cultura e Musei, Provincia di Milano, Forum Austriaco di Cultura a Milano
Questa “commedia dell’anima tedesca” si svolge tra le claustrofobiche pareti domestiche della famiglia Höller, dove l’ex direttore di un lager e le due sorelle si preparano a celebrare, come ogni anno, il compleanno del defunto Himmler.
La regia sceglie di far incarnare vizi e degenerazioni dei personaggi bernhardiani a maschere non ancora segnate dal tempo, affidando provocatoriamente i ruoli ad attori trentenni.
Siamo di fronte a un panorama confuso ed equivoco. Oggi, in particolare nel nostro Paese, si assiste al cortocircuito dei concetti di tempo ed età. Non ha più senso parlare di uno sviluppo storico lineare, dove generazione si succede a generazione. L’Occidente, non avendo la forza di guardare in faccia il suo passato, non può far altro che essere fatalmente immaturo, vittima e artefice della sindrome di una falsa giovinezza.
Dopo aver dato spazio a voci fuori dal coro, antagonisti, idealisti, eroi, ci ritroviamo per necessità e per scelta a chiamare in causa chi invece del coro è parte e nel coro si nasconde: noi borghesi, noi intolleranti, noi vecchi, noi infantili, noi violenti, noi bugiardi, noi morti.
Quanto in là ci si può spingere affrontando Bernhard?
La lingua di Bernhard è terreno insidioso. Ci avviciniamo con cautela, inadeguatezza, curiosità. Ogni testo è un labirinto, un intero di infinite parti.
La lingua di Bernhard costringe alla concentrazione, al dubbio, al gioco. Incrina con leggerezza il nostro poco sapere. La lingua di Bernhard chiama, chiede con forza una presenza, un’attenzione. Non ha bisogno di uno spettatore passivo, non si lascia semplicemente fruire. Chiede un’azione, un corpo, una voce. Vuole un pensiero.
Noi prendiamo la sua parola in punta di dita, cerchiamo di farla nostra e interpretarla, per comprenderla. E infine la rimandiamo a chi guarda.
Esiste una sfida da condividere. Da condividere con un pubblico accolto all’interno di una cornice, non più semplice spettatore, ma testimone, di ciò che è accaduto ieri, pochi anni fa, di ciò che accade oggi, di ciò che non si vuole più vedere per non ferirsi ancora. Una bambina sordomuta accompagna il pubblico nel quadro,
gli svela le contraddizioni di cui si nutrono i personaggi, figure ormai incapaci di uscire dalla propria ossessione.
Verità e menzogna, autenticità e simulazione, realtà ed esasperazione convivono, si confondono per cogliere infine, oltre la parola, suoni esili, impalpabili e armonie momentanee.
Che altro, ancora? Ah sì, quante maschere, quanta voglia di truccarsi e struccarsi hanno questi personaggi di Bernhard. Quanti volti.