Foto di: ©Manuela Giusto
"Da dentro la tua scatola di legno/ tu mi sorridi, padre mio, lo sento.../tu mi proteggi ancora...mi fai segno.../ lo sento che sorridi al mio lamento.../ tutto l'azzurro e l'oro in un momento..."
Finalista Premio Ubu 2010
Miglior Attrice
- Anno
- 2010
- Autore
- Patrizia Valduga
- Con
- Federica Fracassi
- Regia
- Valter Malosti
- Suono
- G.U.P. Alcaro
- Costumi
- Federica Genovesi
- Produzione
- Teatro di Dioniso, Residenza Multidisciplinare di Asti, in collaborazione con Teatro i, Festival delle Colline Torinesi
Corsia degli incurabili, pubblicato nel 1996, è un atto unico scritto in versi da Patrizia Valduga, una delle voci più significative della poesia contemporanea italiana.
Il/la monologante si esprime in una lingua che si nutre del rapporto-divario tra linguaggio alto e linguaggio basso, “qui spinto fino ad impastare in una sola ipotesi tonale gli estremi del sublime e della più trita umiliante attualità: oggetto questa di uno sdegno di matrice dantesca che la Valduga usa anche per ridare un senso e dignità di vita a ciò che i nostri esausti tempi d’impostura tendono a non considerare vita.”
«Ho immaginato un lavoro intimo e scabro. Una donna “soldato del dolore”, malata terminale, giace in una stanza d’ospedale, immobile, inchiodata su una sedia a rotelle, i capelli divenuti rampicanti; i muri scrostati e le poche luci si animano come esseri viventi, respirano, agonizzano, soffrono, amano con lei.
Con determinazione la donna lancia le sue parole che si fanno, di volta in volta, invettiva, desiderio, scherno, preghiera, bisbiglio, confessione, provocazione, accompagnata da una partitura sonora tesa e multiforme, una sorta di suono interiore emotivo e disturbato, che passa dalla natura rivisitata da Chris Watson, tocca le ultime sonate per pianoforte di Beethoven, Wagner e Tosti, si incendia con Fausto Romitelli e urla con Giovanni Lindo Ferretti»
(Valter Malosti)
Press release
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2010 CORSIA Estratto rassegna stampa
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“L'idea forte del regista Valter Malosti, di suo una bella anima visionaria, è stata quella di lasciare il poema in primo piano, annullando il corpo dell'attrice, rendendo tutto quanto esposto più netto e limpido. Ovvio che per realizzare una cosa così innaturale e straordinaria è centrale l'interpretazione di Federica Fracassi, attrice milanese che sta diventando sempre più brava: sprofondata nella sedia a rotelle al centro di una scena criptica, un po' di sbieco, avvolta in una camiciola informe, immobile, come sospesa in una inattività pre-mortem, è appunto solo una voce viva e emozionante mentre sottovoce soffre, si arrabbia, ricorda, mentre reclama, mentre prova a sconfiggere l'estremo dolore.”
Anna Bandettini, la repubblica, Post Teatro
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“Lo diciamo subito: superba è Federica Fracassi, unica interprete della pièce che, imprigionata dalla malattia, immobile su una sedia a rotelle, esprime attraverso la sola voce il dolore dilaniante, la rabbia e la disperazione della condizione umana. Poetico, denso e pulsante, lo spettacolo si snoda attraverso tutto il testo della Valduga alternando registri di linguaggio aulico a invettive critiche e attualissime. Le parole si susseguono a ritmi differenti, come a seguire un flusso interno di emozioni provocate, come a volerne dettare in quel modo l’effetto.”
Emma De Luca, KLP
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“Per rendere teatro una tale magmatica materia verbale è necessaria un’interprete superlativa. Federica Fracassi è anche di più: dà carne alle parole, dolore, rabbia, sogno, sfinimento, come in una lotta di agonia, come in una ricerca di luce, disegnata dal regista come un’ammalata ottocentesca, tra i preraffaelliti e Telemaco Signorini, Ofelia morta nelle acque e donna alla toeletta, capelli rossi su pallido incarnato che diventa figurazione d’anima abbandonata (e potrebbe essere incubo testoriano fatto donna). Malosti ne accompagna la dolente disperata indomita lotta contro un mondo di morte, l’incurabile voglia di bellezza, con una colonna sonora al suo solito nervosamente composita. Tra luci che accarezzano o schiaffeggiano, come le parole, i suoni barocchi diventano elettrici e poi ruggiti d’attore, inarcandosi tra Gluck e Beethoven, tra Carmelo Bene e Uri Caine, tra Lindo Ferretti e Caruso, per spegnersi in una struggente romanza liberty di Francesco Paolo Tosti, incalzante dolcezza desolata.”
Massimo Marino, Corriere della Sera BoBlog
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“La straordinaria performance della Fracassi non si esaurisce nell’uso sapiente e tecnicamente impeccabile della voce, infatti sebbene tutto appaia fermo, in realtà tutto è in costante movimento. Il dinamismo interno è palpabile e vivo. Il corpo dell’attrice è in tensione e vibra, internamente la sua forza ed energia si muove in costante disequilibrio, il suo magnetismo viene percepito dallo spettatore che rimane rapito da questa performance attoriale di forte impatto emotivo.”
Valentina Scocca, Teatro.it
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“E Federica Fracassi sta dentro la virata con l’agilità degli immobili. Che, poiché sono fermi, possono tutto. La danza immobile. Qui: un morire immobile e lento, ovvero la danza estrema. La immobilità estrema della danza. Da quel “letto” si alza solo voce. Voce in parolaccia e rima.”
MariaGrazia Calandrone, La poesia e lo spirito
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“In quest'unico corpo in scena si riversano più disperazioni, con diversi toni di aggressività e comprensione, di lucidità e abbandono. In ogni passaggio da un registro all'altro, Federica Fracassi modifica quanto basta la torsione della testa o la fibra della voce, salendo e scendendo di volume a seconda della parola pronunciata, nel rispetto del contenuto e del contesto che la avvolge. Non c'è esibizionismo o esternalizzazione forzata: tutto nasce da un evidente dentro, un magma compatto di dolore e cure, e ogni verso scritto ha una direzione con un suo preciso orizzonte che l'attrice davvero ci fa intravedere.”
Serena Terranova, Altre Velocità
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“Il monologo è un lasciapassare consegnato in culla, decodificazione della corsia dove poter sfregare muri ospedalieri senza rovinarli; lasciandoli intatti nonostante l’umano tentativo di fuga che solo la poesia garantisce, converte in salvezza, protegge allo spasmo, allontana dal materialismo esistenziale prossimo al dolore presente a tratti in questa storia figurata in scena.”
Andrea Ciommiento, Paneacquaculture.net
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