teatro

Signorina Giulia

2011

Foto di: ©Tommaso Le Pera

"Ah! I signori hanno un sacco di balle nella testa. Non ti sembra strano, una signorina come lei, uhm, che preferisce stare a casa a far festa coi servi, invece d’andar col padre a palazzo? Proprio alla festa di mezza-estate?"

Anno
2011
Autore
August Strindberg
Con
Valeria Solarino, Valter Malosti, Federica Fracassi
Regia
Valter Malosti
Drammaturgia
per la versione italiana adattamento Valter Malosti
Suono
G.U.P. Alcaro
Luci
Francesco Dell’Elba
Scene
Margherita Palli
Consulenza
Maria Strachini Truedsson
Costumi
Federica Genovesi
Assistente
Elena Serra
Produzione
Teatro di Dioniso, Fondazione del Teatro Stabile di Torino

«Con la presente, mi permetto di proporvi la prima tragedia naturalistica della letteratura drammatica svedese, e vi prego di non respingerla alla leggera, se non volete pentirvene più tardi, perché, come dicono i tedeschi: farà epoca»: così August Strindberg scrive nell’agosto 1888 all’editore Bonnier, che respingerà l’opera perché troppo scandalosa. Signorina Giulia è la storia di un incontro estremo e distruttivo, lungo tutta una notte, tra la figlia di un conte (la Giulia del titolo) e Giovanni, il servitore-tuttofare di suo padre.

La cuoca Cristina, sorta di ambiguo deus ex-machina e promessa sposa dell’uomo, osserva dall’esterno lo svolgersi dell’azione, che si sviluppa nei confini del suo regno: la cucina. Fa da sfondo all’azione una festa ubriaca di danze e vino che si protrae per tutta la prima metà del testo, la Midsommarnatten, la nordica notte magica di San Giovanni. L’occasione rituale di scatenamenti orgiastici spinge la padrona e il servo a sperimentare, attraverso una lotta senza esclusione di colpi, che chiama in causa la lotta di classe e quella tra genere maschile e femminile, un perturbante sconvolgimento dei ruoli. Una lotta incessante per la sopravvivenza, una sorta di selezione “naturale” che qui assume connotati non esclusivamente fisici ma mentali: la “battaglia dei cervelli” che tanto ossessionava l’autore.

«A mio avviso – scrive Valter Malosti – il naturalismo di Strindberg è più simile a quello di Darwin, citato nella famosa prefazione dell’autore a Signorina Giulia, che a quello di Zola. Giulia nella tragica parte finale diverrà una sorta di animale sacrificale che espierà col suo sangue, seguendo anche un’ambigua traccia cristologica. Per questo lavoro ho pensato ad un luogo abbandonato e alle tracce di un tempo passato, un convito di fantasmi che fa festa nella testa di Giulia, come se potessimo vedere dentro di lei, nascosto, il regno di ciò che è più intimo. Una risata nera, sorda e continua, sottotraccia, pervade tutto il testo. È un mondo infero, quello che vediamo rappresentato in Signorina Giulia di Strindberg. Si scende giù per andare nella cucina, regno sprofondato della servitù dove gli alberi si intravedono appena e un raggio di luce del mattino è un’apparizione sacra: l’ora del sacrificio. Giulia ha un sogno ricorrente, sogna di voler cadere e sprofondare sempre più giù, sottoterra. Questa cucina, dove si respirano fumi infernali, è una sorta di anticamera dell’inferno. Ma Giulia diviene per Strindberg anche una di quelle attrici/isteriche di un esperimento di ipnosi al cui “spettacolo” aveva assistito a Parigi presso l’ospedale della Salpêtrière, per opera di Charcot: con una singolare seduta di ipnosi, cui l’autore invita a partecipare tutta la comunità degli spettatori, si chiude tragicamente la parabola della protagonista. Per mettere in scena Signorina Giulia occorre una lettura intima e una comprensione simile a quella di un direttore d’orchestra davanti ad una partitura (come Bergman si riferiva a questo testo), che ci rivela pieghe di un’umanità che riconosciamo nella sua carne viva e che ce li fa chiamare fratelli e sorelle. Strindberg marca questo lavoro con una punteggiatura teatrale che non rispetta sintassi e grammatica ma vuole farsi respiro e intenzione per gli attori, un ritmo musicale che governa la trama emotiva del testo. Ne emerge perciò una forma di progressione espressiva basata sull’associazione, piuttosto che strettamente testuale o sequenziale».

Press release

  • “Interessanti e in parte sono la bella e brava Valeria Solarino, Giulia, e la morbida, ma decisa Federica Fracassi, la cuoca.
    Rita Ciro, L’Espresso
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  • “La new entry dello spettacolo è Federica Fracassi, reduce da una messe di premi (Premio della Critica 2011, Premio Eleonora Duse 2011, Premio Ubu come migliore attrice 2011 ex aequo con Mariangela Melato), e lei ha già “frequentato” drammaturgie del centro-nord Europa, con Bernhard e Fosse. «Qui metto molta concretezza, rispetto ad altri ruoli. Ho un compito minore, parlo meno ma osservo molto. Mentre Julie e Jean oscillano su e giù, io sono un perno stabile, un punto di riferimento, l’anello di ceto più basso. Non mi faccio domande, per buonsenso popolare». Che ci mette, di suo, in questa Cristina la cuoca? «Vitalità, anche sensualità, una piccola danza, una canzoncina che mi cantavano nell’infanzia lombarda e che ho riutilizzato, un atto performativo (legato ai miei percorsi) quando entro da sonnambula». E coi suoi partner? «La Solarino è una scoperta, abbiamo fatto strade differenti, ed è importante il convivere nel lavoro più che in scena (non abbiamo dialoghi). Con Malosti c’è già intesa, mi ha diretta ne La corsia degli incurabili della Valduga, e ci scopriamo a guardarci e a fare gli attori». La rivedremo a fine marzo a India in Incendi del Teatro i, con regia di Renzo Martinelli. «E farò un’apparizione nel nuovo film di Bellocchio».“
    Rodolfo Di Giammarco, la Repubblica
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  • “Superba, infine, Federica  Fracassi nel ruolo della cuoca: rende con straordinaria efficacia lo stereotipo della serva ipocritamente bigotta, piegando un esibito dialetto lombardo alle esigenze di bassezza culturale e di ignoranza plebea che si addicono a una cuoca di fine ottocento. Ne risulta un personaggio ambiguo, pudico e scollacciato insieme, eppure credibilissimo.“
    Rossella Menna, Voci dalla soffitta
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  • “Di certo notevole per posata compostezza è anche la buona interpretazione di Cristina/Fracassi che da personaggio minore spicca per padronanza scenica”
    Simona Nebbia, Teatro e Critica
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  • Bene davvero la lettura di Malosti, moderna come moderno rimane il testo (uno Strindbreg colossale qualcuno dice, non a torto il più bello). Azzeccatissimo il Giovanni emaciato e volgare, poetico e calcolatore che di questa lettura è la chiave, stallone predicatore al quale corrispondono le doti puttane e insieme conformiste della cuoca, sanamente sessuata, ma timorata di Dio, la pregevole Federica Fracassi.
    R. S. , Il Messaggero
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  • “Sebbene posta ai margini della scena, la cuoca Cristina di Federica Fracassi (da poco vincitrice del Premio Ubu come migliore attrice 2011) si impone all'attenzione per la sua concretezza e il suo attaccamento alla realtà che l'ottima dell'attrice esprime con misura e compostezza, lasciando tuttavia trasparire il vago disorientamento del personaggio.”
    Susanna Battisti, Fogli e parole d’arte
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  • Cristina sarebbe innamorata di lui se non fosse per la sua pessima condotta. Federica Fracassi le conferisce quello spessore insperato dallo stesso Strindberg – che la relega a ruolo di personaggio solo abbozzato tutto casa e chiesa.
    Andrea Poconsich, stratagemmi
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  • Originale la scelta di edificare la cucina, dove si svolge l’azione, su un piano inclinato al centro della scena creando un effetto tridimensionale. Inoltre l’utilizzo di botole, anfratti, nascondigli misteriosi anima la scena, conducendo simbolicamente dentro le parti oscure, quelle più difficili da esplorare, quelle legate all’inconscio e alle sue innumerevoli sfaccettature. Intensa l’interpretazione di Federica Fracassi che dona vitalità e sfumature psicologiche di grande spessore a Cristina, la cuoca della signorina Giulia e ‘fidanzata’ di Giovanni.
    Amelia Di Pietro, Recensito.net
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  • Jean, fidanzato con la serva Christine, una Federica Fracassi bravissima e morbosamente sensuale, ha l’occasione di dare sfogo a un desiderio da sempre represso e cede alle lusinghe della sua padroncina ma diventa carnefice di un gioco erotico condotto all’estremo.
    Francesco Bove, Flanerì
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