teatro

Mephisto

2015

Foto di: ©Umberto Favretto

"Ma tu stesso credi a tutto e non credi a nulla. Se questo è un attore, è una cosa abominevole."

Anno
2015
Autore
Klaus Mann
Con
Federica Fracassi, Luca Micheletti, Michele Nani, Massimo Scola e con Lidia Carew nel ruolo danzato di Juliette
Regia
Luca Micheletti
Drammaturgia
Luca Micheletti
Suono
Edoardo Chiaf, musiche originali Roberto Bindoni, guest composer Walter Beltrami, percussioni live Maurizio Felicina
Luci
Cesare Agoni
Scene
Csaba Antal
Assistente
Valentina Fariello, Alice Lutrario, Chiara Pizzatti
Produzione
CTB Centro Teatrale Bresciano

Proseguendo la sua ricerca sul tema della “metamorfosi” dell’umano, Luca Micheletti sceglie, dopo il grande successo di Kafka della scorsa stagione, di mettere in scena per il CTB una nuova diversa “metamorfosi”, questa volta non di natura fisica ma etico-politica, e non più solo drammatica, ma grottesca e fantasmagorica. 

Il giovane secondogenito di Thomas Mann, Klaus, nel 1936 pubblica un romanzo pungente e derisorio contro suo cognato, l’attore Gustaf Gründgens, attore di gran talento ma colluso col nazismo. Mephisto è il titolo. Oltre ad essere una crudele e comica satira intorno all’ambizione dell’artista teatrale, quest’opera è anche un attraversamento della coscienza del performer, scossa, come quella di Faust, da tentazioni opposte: il bisogno di attingere alle vette dell’arte, i compromessi vili a cui accondiscendere con il potere, il desiderio morboso di sacrificarsi e trascendere i propri limiti umani per farsi strumento di creazione teatrale, fra dilanianti contraddizioni e conturbanti poteri magici.

Al centro, un grande attore dal cinismo spregiudicato, roso dall’ambizione; e, intorno a lui, un gruppo di artisti apparentemente senza speranza, senza scrupoli, patetici, illusi: un’attrice insoddisfatta e disposta a tutto per coronare i suoi sogni di gloria, una principessa della danza decaduta al rango di entreneuse sospesa tra sadismo e follia, un giovane attore militante nel teatro politico. I loro rapporti con il Potere – che assume la maschera spaventosa di Hermann Göring – modificano i loro destini e tutti si troveranno a dovere o volere “cambiare pelle”, stravolgendo i loro ideali, subendo strabilianti e grottesche metamorfosi psicologiche e morali.

La smania di “diventare una stella” assimila il mattatore, metaforicamente, al personaggio che darà a Gründgens la celebrità: Mephisto nel Faust di Goethe, il servo del male, l’angelo caduto che continua ad aspirare al cielo, alle vette, alla riconquista delle altezze perdute. Questo “ritratto d’artista” non ha nulla di caricaturale nella sua beffarda meschinità, è profondamente umano – come “troppo umano” è parso a qualcuno il Mephisto di Goethe – e perciò la sua parabola s’adombra di un’inquietudine abissale, il suo caso si offre come emblema del dissidio morale che sta alla base del rapporto dell’essere umano con le arti in genere e con il teatro in particolare: qualcosa di assai serio, nonostante il piglio brillante del copione. La scena costringe chi la frequenta a camminare sul ciglio d’un conturbante cerchio di fuoco dentro il quale pare pericolosamente sospesa la legislazione morale che vige al di fuori di esso; l’artista corre il rischio della chiusura autoreferenziale, della sordità sociale, dell’esaltazione estetica. È indulgente verso i propri vizi, soffre come tutti ma gli pare che il suo dolore sia per qualche ragione più nobile di quello altrui e che contribuisca in maniera misteriosa all’emancipazione dell’umanità, e per questo si sente prossimo al sacrificio. Così accade qui: un attore dotato ma provinciale, poco alla volta fa carriera, sacrificando i suoi affetti, i suoi ideali, i suoi princìpi all’altare del successo e del potere. Il suo talento, mentre cerca canali per manifestarsi ed essere riconosciuto, lo ammala irrimediabilmente, compromettendone la figura politica e le posizioni etiche.

In questo, egli è in realtà più simile a Faust che al demonio, più tentato che tentatore: è Faust, infatti, che può discernere e scegliere attraverso quali canali raggiungere i suoi scopi. Com’è noto, sedotto dall’ambizione, opterà per le forze oscure. E non sarà un caso se, dopo la morte di Klaus, suo padre Thomas Mann darà alle stampe la sua personale versione del mito della compravendita dell’anima, Doktor Faustus, in cui il protagonista non è più un dotto assetato di conoscenza (come in Goethe), ma un artista tormentato e disposto, per la creazione, a sacrificarsi fino alla malattia. Lo stesso, se pur con un respiro satirico ed esiti letterari del tutto altri, avveniva già nel romanzo Mephisto, che precede di undici anni l’opera del padre.  

In realtà, il “sacro morbo” del poeta – del creatore di mondi – è lo stigma che ogni artefice porta con sé dai tempi dei tempi; eppure, quand’esso intacca il suo “io” storico e lo spinge a compromettersi con i più aberranti bassifondi (il nazismo, nel caso di questa storia), urge riconsiderare la posizione dell’artista rispetto alla storia, la necessità di prendere una posizione nel mondo reale e non solo nel “cerchio di fuoco” della finzione scenica. 

La scelta di narrare la vicenda di Gründgens come nuovo tragicomico Faust dell’era contemporanea si spiega solo a metà con l’astio di Klaus Mann nei confronti del celebre ex-cognato: pur partendo da un’intenzione canzonatoria, infatti, lo scrittore l’abbandona presto, e dà alle stampe una delle opere sul teatro del Novecento più sferzanti, gravide sul piano etico e più compiute su quello narrativo. 

Ispirandosi con molta libertà alla vita nell’arte e alla carriera di Gründgens – con un occhio a Mann e uno a Frank Wedekind (il cui teatro e la cui biografia s’intrecciano inestricabilmente alle vicende dei protagonisti di questa storia) –  questa versione teatrale di Mephisto non vuol essere soltanto la messa alla berlina delle debolezze d’un grande attore, bensì la storia, riflessa nel teatro, del performer in lotta tra due realtà: quella sociale e politica che lo circonda e quella fittizia ed evanescente – ma pur sempre cruciale – dell’invenzione estetica, dal cui pericoloso equilibrio si possono generare tanto capolavori nell’arte quanto degenerazioni nella morale.  

Press release

  • "Spettacolo rutilante e travolgente… Messinscena davvero imponente… una regia che è un autentico e sfrenato distillato di teatralità… un coraggio che ripaga e funziona."
    Simona Spaventa, La Repubblica
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  • "Con un fantasmagorico allestimento, una meticolosa regia, e un’acuta riscrittura del “Mephisto” di Klaus Mann, Luca Micheletti conferma ancora una volta una qualità di dramaturg come pochi in Italia, unita ad una qualità di attore tout court dalla forte presenza scenica e dai modulati registri vocali, che includono il canto… Magnifico il quintetto di interpreti: oltre a Micheletti, Federica Fracassi, Michele Nani, Massimo Scola, e Lidia Carew anche danzatrice."
    Giuseppe Distefano, Il Sole24Ore
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  • "Micheletti plasma la sua cangiante e colorata vocalità, alternando un timbro ora caldo e penetrante ora chiaro e aspro, dando vita a un personaggio grottesco, mefistofelico, sudicio ma anche seducente, come il potere che ne divora la coscienza…"
    Angela Calvini, Avvenire
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  • "Il merito di aver sondato il lato più subdolo e vile che l’essere umano è in grado di sviscerare annebbiato dall’ambizione, va a Luca Micheletti, un fiore di adorabile meschinità, e al suo alter-egofemminile, Federica Fracassi."
    Serena Savardi, Arts life
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  • "Lo spettacolo è dominato dalla figura di Henrik Höfgen, interpretato da un carismatico e bravissimo Luca Micheletti … Al suo fianco spicca la Lotte di Federica Fracassi che da giovane attrice si trasforma via via in una sorta di Lady Macbeth."
    Davide Cornacchione, Delteatro.it
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  • "Uno spettacolo coraggioso e perfettamente realizzato… Grande Micheletti, bravissimi tutti gli altri. Menzione speciale per le sorprendenti scenografie di Csaba Antal."
    Cardona, Goodmorning Brescia
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  • "Nel costante, nevrotico, paradossale sopra-le-righe di una recitazione spinta costantemente all’eccesso, ci sono sprazzi di consapevolezza dolorosa. La fragilità umana, la solitudine, l’opportunismo, il carrierismo, la violenza, la sopraffazione: parole chiave da declinare in un’idea d’arte che snocciola le contraddizioni non solo di sistema, ma anche e soprattutto umane e private dell’artista. Non si salva nessuno, qua: nel mondo di Mephisto, la crisi non è solo socio-economica, ma di valori e di personalità. Ed è bravo – addirittura virtuoso – Luca Micheletti, con quella sua faccia alla Dirk Bogarde, a tenere le fila di un personaggio certo non facile. Lo fa giocando, mettendosi in mostra e ritraendosi, calcando la mano ed esasperando, sfuggendo continuamente a ogni possibile, ancorché finta, sincerità. Accanto a lui, Federica Fracassi conferma il suo straordinario talentaccio: aspra, negativa, sfrontata, fa della sua Lotte il paradigma di un femminile assolutamente discutibile. E sa prendere le distanze dal personaggio, seppure aderendovi e dando corpo e anima a una donna disposta a tutto pur di "arrivare"".
    Andrea Porcheddu, Gli Stati Generali
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  • "Mephisto di Luca Micheletti è un viaggio nella seduzione del potere, nell’ambizione dell’arte, nella fame di successo in cui la speranza è bandita… In tutto ciò Luca Micheletti è sovrano."
    Nicola Arrigoni, Hystrio
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  • "Micheletti ha costruito uno spettacolo sontuosamente visionario, ricco di riferimenti… Nel primo tempo la regia adotta una cifra espressionista e sperimentale, nel secondo tutto si fa più drammatico e intimo… Ottima la prova di tutti gli interpreti a partire da Micheletti che si mette in gioco con la forza di un mattatore costruendo un personaggio dall'io ipertrofico e autoreferenziale, un essere ambizioso ed ambiguo che tutto conquista e tutto perde… Fracassi, alter ego femminile che accompagna l'ascesa di Hendrik coglie tutte le sfumature psicologiche di una lady Macbeth priva di scrupoli e vittoriosa… da vedere assolutamente."
    Francesco De Leonardis, BresciaOggi
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  • "Messinscena sontuosa quella di Luca Micheletti, spessorata nella ricreazione del testo… Un lavoro che si interroga sul senso del teatro, sulla menzogna dell’essere attore, sulla verità dell’essere uomo… La compagnia degli interpreti è di ottimo livello."
    Nino Dolfo, Corriere della Sera
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  • "Una prova di maturità come regista… Summa di linguaggi e di valori… La vastità dei riferimenti culturali non impedisce al regista-drammaturgo di arrivare ad una scrittura nitida, convincente sulla scena, comunicativa con il pubblico."
    Paola Carmignani, Il Giornale di Brescia
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  • "Tutto è volutamente sopra le righe in questo "Mephisto"… Luca Micheletti crea una maschera difficilmente dimenticabile. E’ una vera “goduria” vederlo recitare insieme a una sempre bravissima Federica Fracassi, donna in carriera dalle mille sfumature, nella convinzione che, al di là della crisi del nostro teatro, esistano ancora interpreti su cui poter fare affidamento."
    Mario Bianchi, Krapp’s Last Post
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  • "Micheletti è un attore-regista straordinario e il suo spettacolo è quanto di meglio si possa vedere in questo momento… recita in maniera appassionata, senza andare sopra le righe ma rendendo unica e originale la parte istrionica richiesta dal personaggio e questo conferisce valore aggiunto alla rappresentazione."
    Carlo Tomeo, Italia Post
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  • "…Ma perché l’arte possa essere incisiva ha bisogno di essere efficace. Ed ecco allora che Mephisto si rivela sublime, perché, senza ricorrere alla retorica di un certo tipo di teatro oggi quanto mai sterile, riesce ad incarnare fisicamente gli elementi di cui tratta facendoli esplodere sul palco, con una vivacità ed un’energia uniche, pirotecniche."
    Nicolò Valandro, Associazione Vox
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  • "Micheletti/Hendrick fa un rutilante sfoggio del proprio talento… sortendo alla fine l’effetto voluto: far riflettere su temi di peso."
    Stefania Landi, Teatroteatro.it
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