teatro

Il servitore di due padroni

2013

Foto di: ©Brunella Giolivo

Smeraldina: "Ma lei chi è?"
Arlecchino: "Sono chi vuole che io sia."

Anno
2013
Autore
Carlo Goldoni
Con
Marco Cacciola, Federica Fracassi, Giovanni Franzoni, Roberto Latini, Annibale Pavone, Lucia Peraza Rios, Massimiliano Speziani, Rosario Tedesco, Elisabetta Valgoi
Regia
Antonio Latella
Drammaturgia
Ken Ponzio
Suono
Franco Visioli
Luci
Robert John Resteghini
Scene
Annelisa Zaccheria
Costumi
Annelisa Zaccheria
Produzione
Emilia Romagna Teatro Fondazione, Fondazione Teatro Metastasio di Prato, Teatro Stabile del Veneto

Questo allestimento de Il servitore di due padroni, prodotto da tre Teatri Stabili Pubblici e diretto da uno tra i registi più innovativi del teatro italiano, al suo debutto veneziano nel Teatro che proprio di Goldoni porta il nome, ha creato un grande clamore.

La reazione di Venezia, e successivamente di Padova, è probabilmente in gran parte dovuta ad un legame particolare tra questo pubblico e il ‘suo’ autore e a un modo di leggerlo e metterlo in scena, e certamente la versione di Latella non è quella tradizionalmente e convenzionalmente abituale di questa opera, ma una diversa e nuova lettura che intende riaffermare la modernità del teatro di Carlo Goldoni non sottraendosi al confronto con una delle versioni più riuscite di questo testo che, nell’immaginario di chiunque entri in teatro, è la storica versione di Giorgio Strehler.

L’idea di Latella ha trovato l’appoggio di tre grandi teatri italiani, perché una delle funzioni basilari di un teatro stabile pubblico è quella di favorire la sperimentazione e l’innovazione, di continuare a proporre e a sostenere il teatro di prosa più vicino ai canoni tradizionali della regia e dell’interpretazione, ma di dare altrettanto spazio a visioni differenti, garantendo così una pluralità di linguaggi e offrendo agli spettatori un ampio panorama della scena teatrale.
Scrive Maria Grazia Gregori sull’Unità nella sua recensione allo spettacolo: “Questo Servitore nasce dall’unico modo in cui una nuova generazione di teatranti intende onorare una grande tradizione della nostra scena, trasgredendola, in sintonia con i tempi che viviamo.”
Latella riparte “da” Goldoni, “da” come lui stesso spiega, perché questo Servitore è una totale riscrittura che vuole prendere forza dalla nostra tradizione per lanciarsi in avanti, nel tempo che deve venire. Parlare con la forza della tradizione all’uomo contemporaneo per Latella oggi è un dovere, più che una necessità: “Goldoni è il nostro teatro scritto, la nostra origine… Arlecchino è il nostro Amleto, non si può non incontrarlo nel proprio cammino teatrale, almeno per me.”
La riscrittura del testo goldoniano è stata affidata a Ken Ponzio, giovane autore e drammaturgo formatosi come attore. Nel suo lavoro di riscrittura Ponzio è partito dalla considerazione che il teatro è vivo grazie al costante dialogo con il proprio presente, sotto forma di critica dialettica, e nel suo lavoro ha quindi tenuto conto degli innumerevoli cambiamenti che sono avvenuti nel corso di più di due secoli e mezzo. Ma al contempo ha voluto restituire ai personaggi “veneziani” gli impulsi delle loro maschere originali assieme ad alcuni tratti “provinciali” che tanto caratterizzano noi italiani; mentre a quelli “torinesi” (seguendo un’intuizione di Antonio Latella) ha aggiunto una nota francese nella lingua e nell’identità per renderli anche ai nostri occhi dei “foresti”. Parlano tutti la lingua italiana d’oggi tranne Pantalone il quale, orgoglioso delle proprie origini e troppo potente per adeguarsi alla lingua altrui, parla in veneziano.
Nelle sue note di regia Latella scrive: “La menzogna è il tema che appartiene totalmente a questa commedia. Dietro la figura di Arlecchino (Truffaldino) la commedia si nasconde a se stessa, mente. Dietro agli inganni, ai salti, alle capriole del servitore più famoso del mondo la commedia mente agli spettatori: il personaggio che tanto li fa ridere è insieme tutte le menzogne e i colori degli altri personaggi. È uno specchietto per le allodole e sposta il punto di ascolto dell’intera commedia. Non c’è una figura onesta, tutto è falso, è baratto, commercializzazione di anime e sentimenti (…) Cosa resta? Il vuoto, graffiato dal sorriso beffardo delle maschere. (…) Il vuoto, forse l’orrore della nostra contemporaneità. L’orrore dell’uomo che davanti al peso del denaro perde peso (…)” il cast di questo lavoro che nasce dalla collaborazione di tre Teatri Stabili, è formato da alcuni degli attori di Un tram che si chiama desiderio, che sono gli attori che lavorano da sempre a fianco di Latella, e altri protagonisti del teatro italiano della generazione di quarantenni.

Provocatorio, spiazzante, coinvolgente.
Maria Grazia Gregori  – L’Unità
Può scuotere e far scandalo. È questa la funzione del teatro.
Rodolfo di Giammarco  – La Repubblica
Uno spettacolo discusso, che diventa un caso. 
Renato Palazzi – Il Sole 24 Ore.
Uno spettacolo che ha la sua forza nell’eccesso.
Magda Poli – Corriere della Sera

Press release

  • Provocatorio, spiazzante, coinvolgente.

    Maria Grazia Gregori, L’Unità
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  • Può scuotere e far scandalo. È questa la funzione del teatro.
    
Rodolfo di Giammarco, La Repubblica
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  • Uno spettacolo discusso, che diventa un caso.
    
Renato Palazzi, Il Sole 24 Ore
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  • Uno spettacolo che ha la sua forza nell’eccesso.

    Magda Poli, Corriere della Sera
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  • L'Arlecchino di Latini al contrario stringe le ginocchia, gira le punte verso l'interno; ma il senso di disequilibrio e precarietà, di rivoluzione dietro l'angolo, è sempre lo stesso, come se permanesse il senso di quello stile recitativo, il suo scopo, ma non le forme che ha preso nel corso degli anni. È questa la bella “menzogna” di questo Arlecchino, che va a chiudere il cerchio di un lavoro raffinato e complicato, ambiziosissimo nel suo stare in bilico sull'orlo della tradizione, che sembra allo stesso tempo voler accogliere e tradire, rompendo il canone sul piano delle forme che ha assunto lungo i secoli, ma mantenendone attiva la struttura, la logica, il senso.
    Roberta Ferraresi (Il Tamburo di Kattrin)
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  • “Il tema dell’identità è del resto alla base del Servitore di due padroni già a partire dal livello elementare della trama, il travestimento di Beatrice nei panni maschili del fratello Federigo. Eccola, infatti, Federica Fracassi, con un vistoso paio di baffi ma senza rinunciare all’abito femminile e a un paio di scarpette rosse che suggeriscono qualche diavoleria, una strana insomma che giustifica i sospetti incestuosi sparsi a piene mani dalla regia.”
    Gianni Manzella, Il Manifesto
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  • Non a caso il bellissimo Arlecchino di Roberto Latini è bianco, è somma di tutti i colori e nessun colore al tempo stesso. Tutte le coordinate, tutte le certezze goldoniane – mutuate da Strehler e dalla memoria teatrale – sono scardinate, disattese eppure in linea con una tradizione che viene rispettata, solo calata nella chiave contemporanea. E allora Florindo di Marco Cacciola è un elemento da Grande fratello con le mani sempre a brandire i genitali, la Beatrice di Federica Fracassi è uno spasso lesbico e ninfomane, con quei baffetti da finto uomo che fanno sorridere, Clarice di Elisabetta Valgoi è un'adorabile isterica in cerca di marito, Silvio di Rosario Tedesco è nel suo costume settecentesco il segno della tradizione, è la memoria di un teatro in costume e descrittivo, Pantalone de' Bisognosi di Giovanni Franzosi è emblema del padre borghese di tante comèdie bien faite e vaudeville, così come il dottor Lombardi di Annibale Pavone è un manager un po' improbabile. E Goldoni dov'è finito? C'è come simbolo del teatro, c'è come testo fondante – complice Moretti/Soleri/ Strehler – del teatro di regia della seconda metà del Novecento e per questo termine post quem ricominciare a ricercare un nostro Arlecchino.
    Nicola Arrigoni, Sipario.it
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  • Lo spettacolo di Latella ha il merito di essere riuscito a coinvolgere in un contesto istituzionale (produzione Emilia Romagna Teatri Fondazione, Teatro Stabile del Veneto e la Fondazione Teatro Metastasio di Prato) forse la miglior generazione di attori tra i 40e 50 anni – con alcune eccezioni, artisti come Latini, Federica Fracassi,  Massimiliano Speziani, Marco Cacciola, Annibale Pavone, Rosario Tedesco, Giovanni Franzoni. 
Il Servitore è per Latella un pretesto per fare un discorso sul teatro, per compiereuna riflessione: prendere il testimone della tradizione e rielaborarlo in una forma nuova, per restituire un nuovo Arlecchino, per poter guardare avanti attraverso una nuova generazione di attori.
    Teatro.it
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  • Un’ambiguità di genere, anche sessuale, caratterizza i personaggi femminili: nella vicenda, Beatrice veste i panni di Federigo Rasponi – motore assente della vicenda e icona della potenza dei morti – e la sua interprete, Federica Fracassi, diviene essenza dello spettacolo mostrandosi capace di esserne il perno narrativo.
    Gaia Clotilde Chernerich, Arabeschi
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  • Ma cosa può restare allora, se si tolgono le maschere, se i personaggi non cercano l’incontro, l’ascolto, se non comunicano, se tutto è menzogna? “Non farlo”! Grida la voce di Beatrice. Troppo tardi: Arlecchino ha divelto una lampada dalla scena. Piano piano i personaggi, quasi in una dolorosa processione, staccheranno la carta da parati, smonteranno pannelli, lampade. Le porte resteranno là, tenute su da tiranti, ultimi baluardi dietro cui si nascondevano ipocrisie e vanità.La forza vitale degli attori contagia anche se, talvolta, il pubblico è colto da smarrimento. Siamo molto lontani dalla versione di Strehler e dalla sua voglia di far muovere al riso un pubblico inacerbito dalla guerra.
    Raffaella Roversi, saltinaria.it
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  • Tutto si sgretola e diventa verità, tutto è drammaturgia e ha un significato fondamentale, dalle sonorità vertiginose di Franco Visioli, alla scelta di battute televisive e ripetute di Ken Ponzio.
Antonio Latella costruisce una regia passo passo, con attori eccellenti (Fracassi, Speziani, Latini, Tedesco…) e compiendo la sua “rivoluzione” attraverso un completo e cosciente sgretolamento dei personaggi.
    Davide Sannia, KLP
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  • Conclude Arlecchino compitando stentatamente su un foglio, alla debole luce di un mozzicone di candela, qualche passo del testo originale di Goldoni. Ed è la sintesi perfetta di uno spettacolo bello e importante, e benedetto – nel contesto sapiente delle scene e dei costumi di Annelisa Zaccheria, delle luci di Robert John Resteghini e del suono di Franco Visioli – dalla prova eccellente di un cast straordinario: Giovanni Franzoni (Pantalone), Elisabetta Valgoi (Clarice), Annibale Pavone (il dottor Lombardi), Rosario Tedesco (Silvio), Federica Fracassi (Beatrice), Marco Cacciola (Florindo), Massimiliano Speziani (Brighella), Lucia Peraza Rios (Smeraldina) e Roberto Latini (Arlecchino). Da non perdere.
    Enrico Fiore, controscena.net
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  • Nessun personaggio indossa la maschera, come vorrebbe la commedia dell’arte della quale rimangono in alcune scene i movimenti caricaturali. Non c’è più spazio per la finzione nell’opera di Latella. La stessa scena è scarnificata. L’ossatura della scenografia viene smontata a scena aperta dagli attori come per svelare, togliere la “maschera” anche al teatro, denudarlo delle sue sovrastrutture e trovarne l’essenza. “Ricominciamo, vi prego” dice Beatrice e, cercando disperatamente un altro epilogo, corre impazzita per tutta la scena e anche lei si denuda, per uscire dai suoi panni, per trovare l’altra sé che vorrebbe.
    Amelia Di Pietro, Teatrionline
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  • È Arlecchino a dare il via alle danze, divellendo letteralmente una lampada dalla scenografia: “non farlo!”, grida Beatrice – o meglio la Fracassi – ma ormai è tardi, il processo è avviato ed è irreversibile. Quello che accade nel secondo atto è l’estrema conseguenza dell’operazione di smascheramento latelliana, portata fino allo smantellamento definitivo.
Sopravvivono dei frammenti di teatro possibile, inconsistenti eppur straordinari, come la ripresa per il povero Arlecchino del “lazzo della mosca nella versione di Moretti”, che incarna tutta la forza coercitiva dell’impianto tradizionale cui è inevitabile rifarsi anche se si vuole parlare dell’oggi, accanto a un’intensità umana troppo umana che, più di ogni altro momento dello spettacolo, invita lo spettatore a una commozione senza tempo e senza storia.
    Arianna Bianchi, Stratagemmi
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  • “La potenza di questo lavoro è nella scelta degli attori, tutti della generazione dei quarantenni che tanto danno al teatro italiano, nonostante parte del pubblico non ne sia consapevole. Lavorare con loro è stato un ascolto continuo, uno stimolo necessario per compiere un gesto autoriale. Per me ognuno di loro è un colore dell’abito di Arlecchino, tutti insieme sono Arlecchino”.
    Massimo Marino, BoBlog intervista d Antonio Latella
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  • E poi ancora la Fracassi, mattatrice nel farsi uomo, donna, amante, amica, incesto, calcolo e pulsione: in quel ménage a troi col fratello, sì, e con l’amante – non a caso: l’uno dall’identità svilita del servo e, l’altro, del conquistatore, ma che poi confluiscono in un gioco in cui all’incesto si assomma l’omosessualità e tutta la sconclusionata commistione di un oggi, in cui il vero tabù forse resta soltanto la normalità -, ma che non può non coinvolgere la stessa Clarice, invischiandola in rigurgiti da cui solo l’anacronistico Silvio sembra restar estraneo.
    Francesca Romana Lino, Fattiditeatro
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  • E Arlecchino riscopre la propria oscura origine, il suo legame con la morte ma anche con la rivoluzione. Una maschera portatrice di distruzione ma anche del fertile seme del cambiamento, quello di cui anche oggi il sistema teatrale italiano ha bisogno.
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